Il dottor Paolo Fezzi ha conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgica presso l’Università Degli Studi di Milano il 27/07/1989 e la Specialità in Ortopedia e Traumatologia, sempre presso l’ Università degli Studi di Milano, il 03/11/1999.
Dopo il servizio militare di leva come Ufficiale Medico dal 09/05/1990 al 03/08/1991, a seguito di regolare concorso per titoli ed esami, in data 21/12/1991, è stato assunto come Assistente Ortopedico di ruolo presso l’Ospedale Civile di Chiavenna, ove ha esercitato la sua attività professionale svolgendo le comuni attività ortopediche e traumatologiche presso la Divisione di Ortopedia e, nei mesi invernali, anche presso il Centro Traumatologico di Madesimo.
Dopo domanda di trasferimento, in data 02/06/1997, ha preso servizio in qualità di Dirigente Medico di I Livello presso la Divisione di Ortopedia e Traumatologia A dell’Ospedale Sant’Anna di Como ed infine è stato assunto, con decorrenza 01/05/2000, come Dirigente Medico di I Livello presso la Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale “San Leopoldo Mandic” di Merate, Presidio dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale di Lecco”, ove ha svolto la sua attività professionale fino al 15/04/2023.
Il Dottor Fezzi, dopo aver frequentato nel 2002 il corso “L’Ambulatorio Specialistico dell’Osteoporosi” tenuto dal Prof. Silvano Adami, si è dedicato, in particolare negli ultimi 20 anni, all’approfondimento della diagnosi e cura delle patologie del metabolismo osseo, tenendosi costantemente aggiornato con la partecipazione a numerosi eventi e congressi, in particolare ai congressi nazionali della SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) e come membro del GISMO (Gruppo Italiano di Studio delle malattie del Metabolismo Osseo) , divenendo, nel contempo, a partire dal 2015, responsabile dell’Ambulatorio della Diagnosi e Cura dell’ Osteoporosi.
Il suo curriculum vitae è disponibile in visione sul sito.
Osteoblasti: producono matrice organica per la formazione di osso nuovo.
Osteoclasti: secernono sostanze acide per il riassorbimento dell’osso vecchio
Osteoblasti e Osteoclasti sono i principali determinanti del turnover osseo
Turnover osseo
Il 10% circa di uno scheletro adulto si rinnova ogni anno per il susseguirsi continuo di 2 opposti processi strettamente collegati
FORMAZIONE
RIASSORBIMENTO
DI NUOVO TESSUTO OSSEO
DISTRUZIONE DI TESSUTO OSSEO “VECCHIO”
Un ciclo completo dura circa 100-200 giorni e lo scheletro è completamente rinnovato ogni 8-10 anni
Analizziamo in breve l’ ”OSTEOPOROSI”
L’osteoporosi è una malattia sistemica caratterizzata da:
ridotta massa ossea
alterazione della microarchitettura scheletrica
aumento della fragilità ossea
aumento del rischio di frattura
Più riassorbimento che formazione
massa ossea ridotta
architettura alterata
OSTEOPOROSI
L’età è la principale causa di perdita di massa ossea, che è in gran parte un fenomeno fisiologico
il generale invecchiamento della popolazione è responsabile perciò di un aumento della prevalenza di osteoporosi senile
Le donne hanno una densità ossea in assoluto più bassa, sono perciò circa 4 volte più a rischio degli uomini di sviluppare osteoporosi
circa il 23% delle donne oltre i 40 anni ed il 14% degli uomini oltre i 60 anni sono affetti da osteoporosi
In base a tali dati nel 2015 in Italia è stata stimata:
la presenza di circa 4 milioni di persone con osteoporosi (circa 3,2 milioni di donne e 0,8 milioni di uomini), con una prevalenza nei soggetti di età uguale o superiore ai 50 anni pari al 23% delle donne e al 7% degli uomini.
la presenza di oltre 6,5 milioni di donne e circa 2 milioni di uomini con osteopenia
E’ stato inoltre stimato un progressivo aumento nei prossimi 20 anni della percentuale di italiani ultra sessantacinquenni (+ 25%), con conseguente aumento proporzionale dell’incidenza della malattia e delle conseguenze cliniche, economiche e sociali ad essa associate.
Tuttavia solo il 4,7% della popolazione totale o il 17,5% della popolazione ultrasessantacinquenne si dichiara affetta da osteoporosi.
Questa marcata discrepanza è spiegabile in gran parte dalla caratteristica intrinseca dell’osteoporosi, malattia “silente”, spesso diagnosticata solo in caso di complicanza fratturativa.
Infatti l’osteoporosi è la principale causa delle fratture “da fragilità”, definite come fratture derivanti da traumi cosiddetti “a bassa energia” che non causerebbero alcuna frattura in un individuo “sano”
Epidemiologia
In Italia è stato stimato che nel 2017 si siano verificati 560.000 casi di fratture da fragilità, di cui il 20% femorali e il 15% vertebrali.
In generale il rischio di frattura nel corso della vita futura negli individui di età superiore ai 50 anni è pari al 34% delle donne e al 16% negli uomini.
Le fratture da fragilità sono anche associate ad un aumentato rischio di mortalità:
è stato stimato che circa il 24% dei pazienti di età uguale o superiore ai 50 anni muoia entro 1 anno dopo una frattura del femore; in termini assoluti la mortalità è più elevata nei pazienti più anziani
per quanto riguarda le fratture vertebrali il rischio relativo diminuisce con l’aumentare dell’età sia nelle donne che negli uomini
Nel 2010 in Italia sono stati stimati circa 2900 decessi associati a fratture nelle donne e 2550 negli uomini
In entrambi i sessi circa il 50% delle morti è stato causato da fratture del femore, seguite dalle fratture vertebrali (39% negli uomini e 28% nelle donne).
Rischio di ri-frattura
Il verificarsi di una prima frattura “da fragilità” è associato ad un aumento del rischio di fratture successive.
In generale, dopo una prima frattura, il rischio di fratture successive aumenta dell’ 89%.
In particolare dopo una frattura vertebrale il rischio di qualsiasi altra frattura aumenta del 200%, mentre il rischio di una frattura del femore aumenta del 300%.
Nelle donne di età compresa tra 50 e 80 anni il rischio di una seconda frattura entro il primo anno successivo alla prima è cinque volte superiore rispetto alle donne che non hanno subito fratture.
Inoltre la distribuzione del “tipo” di ri-frattura entro un anno dal primo evento è simile per tutti i pazienti, indipendentemente dalla sede della prima frattura.
“Impatto” economico
L’impatto economico associato alle fratture da fragilità è molto elevato, non solo a causa dei costi diretti legati alle ospedalizzazioni e ai farmaci, ma anche dei costi indiretti dovuti alla perdita di produttività dei pazienti e dei cosiddetti “caregiver” (tutte le persone, familiari e non, che “si prendono cura”, assistono un malato), alla perdita di indipendenza e riduzione della qualità di vita dei pazienti.
“Dettagli” della malattia.
Prima di tutto possiamo classificare l’osteoporosi in 2 grosse “categorie”
Osteoporosi primaria: post-menopausale / senile
Osteoporosi secondaria: da glucocorticoidi / da altre cause
Per brevità ci concentriamo sull’osteoporosi cosiddetta “primaria” (post-menopausale / senile).
L’osteoporosi post-menopausale
È di gran lunga la più frequente.
Ha un inizio rapido con riduzione della massa ossea del:
15-20% a 5-10 anni dalla menopausa
40% intorno ai 70 anni
L’osso trabecolare è il più colpito dalla mancanza di estrogeni ed è il principale sito di fratture precoci (polso e vertebre)
L’osteoporosi è una malattia multifattoriale ed i fattori di rischio sono numerosi
Fattori di rischio per ridotta massa ossea (influenzano il rischio di frattura determinando una riduzione quantitativa e qualitativa della massa ossea)
Fattori di rischio per frattura indipendenti dalla massa ossea
Fattori di rischio per frattura indipendenti dalla massa ossea
Età
Sesso femminile
Basso peso corporeo-magrezza
Familiarità per osteoporosi
Menopausa precoce
Ridotto introito alimentare di calcio
Elevato introito alimentare di sodio o di caffeina
Abuso di alcool
Fumo
Ridotta attività fisica
Ipovitaminosi D
Iperomocisteinemia
Uso di alcuni farmaci (corticosteroidi, anticoagulanti, diuretici dell’ansa, ormoni tiroidei a dosi soppressive in post-menopausa, antiGnRH, antiretrovirali, ciclosporina, chemioterapici, anticonvulsivanti)
Trapianto d’organo
Malattie
Dal momento che la frattura è la principale manifestazione clinica dell’osteoporosi, l’identificazione e la quantificazione del rischio in tal senso rappresentano l’obiettivo prioritario, più importante della stessa diagnosi di osteoporosi.
La caduta è uno dei principali fattori di rischio di frattura (di femore e di polso) nel soggetto anziano
è meno determinante per le fratture vertebrali
Caratteri epidemiologici delle fratture osteoporotiche
l’incidenza aumenta con l’età
la frequenza è maggiore nella donna rispetto all’uomo
sono causate da traumi a bassa energia, come la semplice caduta
incidenza più elevata nelle popolazioni caucasiche (rispetto a quelle asiatiche e di razza nera)
Sedi tipiche di frattura da fragilità ossea
collo del femore
vertebre dorso lombari
polso
Rischio di frattura
Una ogni 2 donne e uno ogni 8 uomini sopra i 50 anni avrà una frattura da fragilità nella restante vita
in particolare tale rischio è nella donna del:
17,5% per il femore prossimale
15,6% per la colonna vertebrale
16% per l’avambraccio distale
nel maschio il rischio è rispettivamente del:
6% per il femore prossimale
5% per la colonna vertebrale
2,5% per l’avambraccio distale
Fratture di femore (cause)
Fattori extraossei: in età avanzata essi hanno più importanza della riduzione della densità dell’osso (la caduta, i fenomeni involutivi, la comorbilità)
Età: l’80% di fratture prossimali di femore si ha dopo i 75 anni
Sesso: maggiore incidenza nelle donne
Razza: le giapponesi hanno minore incidenza di fratture di femore rispetto alle statunitensi, nonostante una minore massa ossea (perché hanno un asse femorale mediamente più corto e un angolo collo-femore ridotto)
Incidenza/anno in Italia: 6.5-7/1000 sopra i 65-70 anni, con il 70% di donne
Circa 1 caso all’ anno di frattura di femore negli ultra 65enni assistiti da un medico di medicina generale con 1000 pazienti
Conseguenze legate alle frattura di femore
La mortalità è del 15-25%
La disabilità motoria colpisce più della metà dei pazienti nell’anno successivo all’evento
In circa il 20% la possibilità di camminare in modo indipendente è persa completamente
Solo il 30-40% riprende piena autonomia nelle attività quotidiane
Fratture vertebrali
Spesso poco sintomatiche e perciò non diagnosticate (dal 30 al 60%)
La prevalenza aumenta con l’età in entrambi i sessi ( più nelle donne)
Razza: meno frequenti nella razza nera
La caduta è responsabile solo di circa 1/3 delle fratture
Aumentano il rischio di una futura frattura vertebrale (ma anche in altre sedi)
In medicina generale circa 20 donne oltre i 75 anni con fratture vertebrali ogni 1000 assistiti
Fratture di polso
più frequente nel sesso femminile (dopo i 35 anni 85% donne)
la relazione è meno forte con la densità ossea
l’ incidenza aumenta dopo la menopausa
raggiunge il picco tra i 60-70 anni
Successivamente, sebbene la densità ossea continui a decrescere, l’incidenza non aumenta
In medicina generale 1 caso/ anno nelle donne di età superiore ai 35 anni ogni 1500 assistiti
LA SALUTE DELLE OSSA
Picco di massa ossea
Valore massimale di massa ossea raggiunto entro le prime tre decadi di vita
Da quest’epoca comincia la perdita che può essere di entità diversa in relazione agli eventuali fattori di rischio presenti nei singoli individui
Quanto più elevato è il picco di massa ossea in età giovanile, tanto più facile diventa il mantenimento di un’adeguata massa ossea in età avanzata (un incremento del 5% del picco di massa ossea può arrivare a ridurre del 40% il rischio fratturativo)
Parimenti, se si riesce a limitare la perdita, la probabilità di fratture osteoporotiche diminuisce grandemente
1)Fattori nutrizionali: a) il Calcio
Livelli raccomandati di assunzione
bambini: 1-6 anni 800 mg/die; 7-10 anni 1000 mg/die
adolescenti: 11-17 anni 1200 mg/die
adulti: fino 50 anni 800/1000 mg/die
gravidanza e allattamento: 1200 mg/die
anziano: 1000 mg/die
menopausa: > 50 anni:
1200 mg/die con HRT *
1500 mg/die senza HRT *
* HRT (terapia ormonale sostitutiva)
L’assorbimento del Calcio:
60 % nel bambino
30-40 % nell’adulto
si riduce al 15-20 % dopo i 65 anni
1)Fattori nutrizionali: b) la Vitamina D
E’ un “ormone” più che una vitamina
La sua funzione più importante è quella di regolare l’assorbimento del calcio e del fosforo
Interviene anche nella regolazione del sistema immunitario
Tra le sue funzioni più importanti c’è quella appunto di mantenere costanti i livelli di calcio e fosforo nel sangue, ruolo che svolge nell’intestino (modulando l’assorbimento di questi minerali), nei reni (bilanciando la loro eliminazione) e nelle ossa (dove vengono utilizzati).
Senza la vitamina D solo il 10-15% del calcio verrebbe assorbito
Quando si parla di vitamina D, in realtà si intendono due diverse sostanze: la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo).
Quest’ultima (la vitamina D3) è quella che ci interessa e che, dopo essere stata assorbita dall’intestino (o prodotta dalla cute grazie ai raggi ultravioletti del sole), viene legata da proteine specifiche che la trasportano nel fegato prima e nel rene poi, dove, grazie ad una serie di reazioni chimiche, viene modificata ed attivata, condizione indispensabile affinchè possa svolgere le sue funzioni negli organi bersaglio.
Il quantitativo di vitamina D che si “forma” nel nostro organismo per l’esposizione solare è molto variabile; dipende infatti dall’entità dei raggi solari che effettivamente colpiscono la pelle ed è influenzata da tanti fattori, quali ad esempio area geografica, stagione, ora del giorno, ecc…
Con l’avanzare dell’età la capacità della cute di formare la vitamina D dopo l’esposizione solare è notevolmente ridotta e, oltretutto, gli anziani passano in genere molto tempo in casa, pertanto è proprio in questa popolazione che si riscontrano bassi livelli di vitamina D.
Non dobbiamo poi dimenticare che i raggi solari che stimolano la produzione della vitamina D sono gli stessi che possono causare tumori cutanei, quali i melanomi. Infine l’uso delle creme solari, necessarie per la protezione della cute, influenza negativamente la produzione della vitamina D.
Anche se da sola l’alimentazione spesso non riesce a soddisfare le esigenze di vitamina D nel nostro organismo, rimane pur sempre una fonte importante di vitamina D.
Gli alimenti più ricchi di vitamina D3 sono i pesci ricchi di grassi (salmone, sardine, aringhe, sgombri), ma si trova anche nel fegato, nel tuorlo delle uova, nel burro e in alcuni latticini.
La vitamina D assunta con gli alimenti viene assimilata insieme ai grassi e quando l’assorbimento dei grassi è ridotto per problemi intestinali (ad esempio per malattie infiammatorie intestinali, celiachia) o gastrici (bypass gastrici), il quantitativo di vitamina D assorbito si riduce.
Quando i livelli di vitamina D sono ridotti, è’ pertanto necessario provvedere ad una “integrazione” a base di “colecalciferolo”.
Solo in casi particolari e su indicazione specialistica, si utilizzano altri tipi di “integrazione”, quali calcifediolo o calcitriolo.
Ma qual è la “dose giusta” di vitamina D da assumere ?
Ciò dipende non solo dai livelli di vitamina D nel sangue (che possono essere determinati con il dosaggio della cosiddetta 25 OH vitamina D), ma anche da molti fattori che sono variabili in base ad età, sesso, co-morbidità, ecc… e l’integrazione può essere “ottimizzata” con l’ausilio dello specialista.
Si è stimato che i benefici a livello scheletrico della vitamina D nella popolazione “a rischio” e in caso di osteoporosi, si possono vedere quando le sue concentrazioni nel sangue sono superiori ai 30 ng/ml.
Un eccesso di vitamina D può essere tossico ?
Una “intossicazione” da vitamina D causa un eccesso di calcio nel sangue ed è tale eccesso di calcio nel sangue che può essere responsabile di alterazioni anche molto gravi.
2) Fattori Ormonali
Meccanismi d’azione degli estrogeni sull’osso
Stimolazione alla sintesi del collagene e proliferazione degli osteoblasti
Inibizione degli osteoclasti tramite effetto diretto ed inibizione delle citochine stimolatrici del riassorbimento osseo
Aumentato assorbimento intestinale di calcio e ridotta eliminazione renale di calcio
3) Fumo
A 80 anni la densità minerale ossea (BMD) diminuisce dal 6% al 10% nei fumatori –> doppio rischio di frattura vertebrale e 50% di aumento del rischio di frattura di femore
Gli effetti del fumo sono cumulativi e dose correlati sulla BMD e sulle fratture
Oltre ai meccanismi conosciuti, c’è un meccanismo indipendente dalla BMD
Nelle donne che fumano in genere la menopausa è anticipata di 2-3anni rispetto a quelle che non fumano
Nell’ adolescenza diminuisce il picco di massa ossea e la taglia dell’osso
Negli adulti aumenta la perdita di BMD, aumenta l’incidenza di fratture e diminuisce la capacità di guarigione
I fumatori sono più magri, sedentari, hanno meno forza muscolare: questi fattori non possono essere svincolati negli studi –> attualmente non c’è evidenza che il fumo da solo aumenti le cadute
4) Attività fisica (effetti sul Picco di Massa Ossea)
L’esercizio fisico prima e durante la pubertà produce grossi cambiamenti nella densità minerale ossea (BMD) che, alla lunga, potrebbero ridurre l’incidenza di fratture
Uno studio su 49 ginnaste tra i 7 e gli 11 anni, che praticavano attività fisica a diversi livelli, ha dimostrato un aumento del BMD solo con oltre 5 ore di esercizi alla settimana
Uno studio su 84 ragazze di 16-18 anni, che praticavano esercizio fisico ed assumevano 1g di Ca, ha dimostrato un forte aumento del BMD in tutte le sedi, che però tende a diminuire significativamente a 14 mesi dalla sospensione
La pratica di 45’ di attività fisica per 3 volte alla settimana ha dimostrato solo un lieve effetto sul BMD
4) Attività fisica
I soggetti che praticano attività fisica presentano un contenuto minerale osseo maggiore rispetto a quelli che conducono vita sedentaria
L’attività fisica è utile in prevenzione primaria: favorisce il raggiungimento di un picco di massa ossea più consistente al termine dell’età adolescenziale
L’attività fisica contribuisce alla qualità del tessuto osseo
L’inattività non incide solo sulla forza muscolare, sull’osso e sulle articolazioni, ma diminuisce anche le forze trasmesse da legamenti e tendini sull’osso
L’attività fisica può determinare un miglioramento indiretto sul tessuto osseo attraverso l’induzione benefica creata a livello endocrino-metabolico, ormonale, emoreologico, cardiovascolare e respiratorio
Non tutto sembra riconducibile esclusivamente al carico meccanico
Molte delle proprietà dell’attività fisica vengono attribuite anche al miglioramento delle capacità aerobiche indotte dall’esercizio
Esercizi finalizzati al miglioramento dell’equilibrio e della coordinazione (esercizi cosiddetti “propriocettivi”)
Educazione posturale ed ergonomica
Movimento “induce movimento”
4) Attività Fisica (in caso di osteoporosi)
Programma studiato appositamente per poter essere facilmente eseguibile da tutti e, in particolare, dai soggetti anziani
Programma costantemente monitorato, motivandone l’importanza, sorvegliando nel tempo i pazienti, controllando e cambiando gli esercizi ad intervalli prestabiliti (ogni 3-4 mesi)
Esercizi individualizzati e prescelti attentamente da personale sanitario qualificato e competente, evitando di scatenare dolore, rigidità articolare e muscolare, cadute inaspettate, cali della pressione arteriosa, dolore cardiaco o respiro affannoso
Le attività fisiche più raccomandate sono camminare, correre, sport campestri, ballo
Altre “cause” importanti di osteoporosi
Abbiamo visto che l’osteoporosi colpisce soprattutto le donne in post-menopausa, gli anziani con fragilità scheletrica, ma tale patologia si manifesta anche in persone affette dal tumore della mammella o della prostata, in blocco ormonale adiuvante, cioè in terapia con farmaci che “curano” la patologia tumorale, ma interferiscono con il metabolismo osseo e rendono la struttura scheletrica particolarmente fragile.
Assai spesso tali pazienti non vengono “avviati” ad una idonea terapia di “prevenzione primaria” (prima che si verifichi un evento fratturativo), prevenzione che è “obbligatoria”, a prescindere dai dati densitometrici, come previsto dalle linee guida nazionali ed internazionali ed espressamente contemplato anche dalla normativa AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).
DIAGNOSI (PRECOCE), PREVENZIONE E TERAPIA
Per quanto concerne prevenzione e terapia, è fondamentale formulare una diagnosi precoce, proprio perché l’osteoporosi è una malattia silenziosa, che nelle sue fasi iniziali non dà alcun sintomo.
Per una diagnosi precoce è fondamentale la cosiddetta “valutazione anamnestica”, una raccolta di dati finalizzata all’identificazione in particolare dei fattori di rischio, con l’aiuto del proprio medico di base che ben conosce la situazione sanitaria del singolo individuo.
Osteoporosi: quali esami eseguire ?
Esiste la possibilità di eseguire alcuni esami di primo livello di studio del metabolismo fosfo-calcico (sia ematici che urinari), che aiutano a formulare la diagnosi, ma soprattutto ad identificare e quantizzare un’eventuale carenza di calcio e di vitamina D e a pianificarne la correzione, cardine fondamentale di ogni terapia per l’osteoporosi.
Vi sono poi esami di secondo livello che sono invece di competenza prettamente specialistica.
Importante è anche l’esecuzione di una radiografia del rachide dorso-lombare in due proiezioni che permette di identificare una possibile frattura vertebrale “da fragilità” (in assenza di eventi traumatici di rilievo), frattura che spesso passa “misconosciuta”, ma che, qualora si sia verificata, impone un trattamento farmacologico.
Ma l’esame più importante che ci permette di formulare diagnosi di osteoporosi è la densitometria ossea (definita comunemente “MOC”), che serve a “misurare” la densità ossea, un parametro che ci indica quanto è robusto il nostro osso.
Si tratta di un esame non invasivo che viene eseguito in pochi minuti, in regime ambulatoriale. Può essere effettuata attraverso apparecchiature capaci di analizzare le ossa mediante raggi X, indagine ritenuta di prima scelta, oppure con altri strumenti che per l’analisi utilizzano gli ultrasuoni, metodica ritenuta valida come “ screening” diagnostico per identificare quei pazienti che dovranno poi essere sottoposti all’indagine a raggi X.
Densitometria ossea
Consente la diagnosi di osteoporosi ed identifica i pazienti da trattare
Consente di predire il rischio di fratture osteoporotiche.
Nel tempo determina la velocità di perdita ossea e permette il monitoraggio del trattamento
In quali distretti bisogna eseguire la densitometria ossea ?
Di norma tale indagine va eseguita a livello della colonna vertebrale lombare e del collo femorale
Vertebrale (60-70 anni)
Femorale (>60anni, sempre >70anni)
In casi particolari tale indagine può essere eseguita a livello del polso, ad esempio quando non è possibile effettuare l’indagine al collo femorale per la presenza di protesi delle anche, oppure non è possibile indagare la colonna per la presenza di mezzi di sintesi o di “stabilizzazione” vertebrale o quando i valori alla colonna sarebbero poco “attendibili” per la presenza di scoliosi, deformità da pregresse fratture vertebrali lombari, che non permettono il corretto posizionamento dei “reperi” di indagine o, ancora, in caso di presenza di una grave artrosi deformante della colonna che renderebbe “sovrastimato” il valore densitometrico.
Modalità di espressione della densità ossea (T-Score e Z-score)
La valutazione della Massa Ossea si basa sul T-score :misura in Deviazioni Standard (SD) della differenza fra la densità ossea (BMD) del paziente in esame e quella dei controlli normali di giovani adulti dello stesso sesso
BMD (paziente) – BMD (popolazione di riferimento) in SD
L’indagine densitometrica determina anche il cosiddetto Z-score :misura in Deviazioni Standard (SD) della differenza fra la densità ossea (BMD) del paziente in esame e quella dei controlli normali di persone della stessa età e dello stesso sesso
Categoria diagnostica
T-Score
Rischio di frattura (RR)
Normale
> -1
Basso
Osteopenia
da -1 a -2,5
Medio (2 – 5)
Osteoporosi
< -2,5
Alto (>5)
Osteoporosi severa (con presenza di frattura osteoporotica)
< -2,5
Molto alto (>10)
Secondo le nuove linee guida, previste anche dalla nota 79 per la prescrivibilità dei farmaci per la cura dell’osteoporosi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, l’osteoporosi meritevole di trattamento farmacologico è quella con T-score più negativo di – 3,0 e quella con T-score più negativo di – 4,0 (definita “severa”).
Chi deve eseguire la “densitometria ossea” ?
Età > 65 anni (donne) > 70 anni (uomini)
Precedenti fratture da fragilità
Donne con storia familiare di fratture da fragilità
Donne con BMI <19 Kg/m2
Condizioni cliniche associate ad osteoporosi (m. endocrine; m. ematologiche; m. gastroenteriche; m. reumatiche)
Previsione di trattamento >3 mesi con glucocorticoidi (o con altri farmaci a nota azione osteopenizzante: eparine,…)
Menopausa precoce (<45 anni)
Amenorrea secondaria (>12 mesi)
Ogni quanto tempo è indicato eseguire la densitometria ossea ?
L’indagine densitometrica va eseguita ogni 18 mesi (al massimo ogni 2 anni), salvo casi particolari e nello stesso Centro Diagnostico.
TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI (prevenzione primaria)
Una volta formulata la diagnosi, esistono delle terapie “specifiche” per la cura di tale patologia.
Ad oggi sono disponibili diversi trattamenti farmacologici, con azione specifica sul metabolismo osseo ed in grado di ridurre l’incidenza di fratture da fragilità e vi è ampia disponibilità di integratori di calcio e vitamina D, il cui ruolo nella prevenzione dell’osteoporosi e delle fratture è stato ampiamente riconosciuto.
La terapia farmacologica, oltre che sull’utilizzo appunto di integratori di calcio e vitamina D, si basa principalmente sulla somministrazione di farmaci “anti-riassorbitivi” (cosiddetti “bisfosfonati”), che, come tutti i farmaci, hanno le loro indicazioni e controindicazioni, con possibili effetti collaterali, di cui devono essere necessariamente informati i pazienti.
TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI (prevenzione secondaria)
Un approccio efficace per la gestione del paziente osteoporotico che ha già subito una frattura, anche secondo quanto definito dalla nota AIFA per la somministrazione dei farmaci, comprende la somministrazione di un opportuno trattamento farmacologico per la cosiddetta “prevenzione secondaria” (prevenzione dell’insorgenza di una nuova frattura), un’adeguata “aderenza “ terapeutica ed un idoneo apporto di calcio e vitamina D.
Nonostante le raccomandazioni, in Italia, le percentuali di avvio al trattamento e di aderenza terapeutica nei soggetti a rischio sono molto basse:
circa l’80% dei pazienti con fratture da fragilità o in trattamento con glucocorticoidi NON riceve né un corretto inquadramento diagnostico né un adeguato trattamento farmacologico; inoltre tra i pazienti che iniziano la terapia, solo il 50% è ancora in trattamento dopo 1 anno.
Da uno studio retrospettivo italiano condotto su un totale di 697 pazienti di età media 82 anni afferenti a 4 Ospedali Italiani in seguito a frattura di femore, è inoltre emerso che solo il 23,2% dei pazienti, alla dimissione, ha ricevuto prescrizione di trattamento farmacologico per la cura dell’osteoporosi.
Risultati analoghi emergono dai dati amministrativi di 5 ASL italiane relativi a pazienti osteoporotici di età uguale o superiore ai 50 anni, ospedalizzati nel periodo 2011-2015 per una frattura femorale o vertebrale:
tra i 3475 pazienti inclusi, circa il 42% non ha ricevuto alcun trattamento specifico per la prevenzione delle ri-fratture.
Dopo un follow-up di circa 3 anni il rischio di fratture successive è risultato inferiore del 44% nei pazienti che avevano ricevuto un trattamento.
Inoltre nei pazienti che, oltre al trattamento farmacologico, assumevano anche supplementazione con calcio e/o vitamina D (83,6%), il rischio di nuove fratture era inferiore del 64,4 % rispetto ai pazienti che avevano ricevuto solo il trattamento farmacologico (16,4%).
Purtroppo i tassi di aderenza al trattamento sono risultati bassi (48% dei pazienti che avevano ricevuto farmaci + supplementazione, contro il 29,7 % nei pazienti che avevano ricevuto solo il trattamento farmacologico), con un rischio di frattura successiva inferiore del 77,2 % nei pazienti aderenti al trattamento.
Infine, nel corso del follow-up il rischio di mortalità è risultato minore nei pazienti trattati rispetto ai non trattatati ( – 64%).
La terapia può essere prescritta dal proprio medico di base oppure può essere pianificata ed ottimizzata dallo specialista.
L’innovazione in questo campo ha portato infatti allo sviluppo negli anni di farmaci sempre più potenti sulla prevenzione delle fratture, alcuni dei quali possono però essere prescritti solo in ambito specialistico.
In conclusione l’alta incidenza delle fratture da fragilità, comprese le ri-fratture, unita ad un’ elevata mancanza di idoneo trattamento, dovuta ad una mancata “intercettazione” del paziente a rischio e del conseguente suo avvio al trattamento, ha un impatto rilevante sulla società, non solo in termini di disabilità e mortalità, ma anche di costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Appare chiaro che il semplice trattamento della frattura non è sufficiente, ma è necessario prevenire il maggior numero possibile di ri-fratture, tramite la prevenzione “secondaria, dopo ogni evento fratturativo, gestendo i pazienti che hanno subito una frattura “da fragilità” nel modo migliore ed economicamente più vantaggioso.